E' Gêval

(il Diavolo)


L'avvento del cristianesimo si portò appresso anche il Diavolo, ma Berlicche, in Romandìola, non fu mai potente signore delle tenebre, tutt'al più, fu patetico "nemico". Sempre gabbato, zimbello di donne, santi e villani: un povero diavolo eternamente vinto. Non valevano a nulla le sue trasformazioni, veniva sempre scoperto e gabbato, infatti, bastava pronunciare la fatidica frase: "se t'cé e' Giéval, fa' e' fogh" (se sei il Diavolo, fa il fuoco), per farlo sparire fra fiamme e puzza di zolfo.
Colmo dell'irrisione, gli fu appioppata anche una moglie, di nome Proserpina ed egli, approfittando delle distrazioni di Domineddio, se la portava in giro per il cielo su di un carro fiammeggiante, trainato da orribili mostri alati, Ancora oggi, infatti, quando in Romandìola si sente un tuono a ciel sereno, si usa dire che è il Diavolo che "scarrozza" la moglie.
La letteratura fiorita attorno alla figura del Diavolo, è comune a varie regioni d'Italia ed è, perciò, estremamente difficoltoso rintracciare qualcosa di peculiare della Romandìola, al riguardo.
E' bech (il caprone), era anche qui, la sembianza che prediligeva assumere Berlicche; pare infatti che, ben difficilmente, egli rinunciasse alle corna, in qualsiasi suo travestimento, anche quando, sotto forma di bel giovane cercava di circuire le ragazzotte, sotto il cappello, nascondeva le immancabili appendici. Ma, nemmeno col le donne della Romandìola, riusciva mai a spuntarla; d'altronde è risaputo che: "la dòna, la ne sa ona piò de Gêval" (la donna ne sa una più del Diavolo). Sotto forma di agnellino dal pelo nero, sperduto, amava farsi trovare da avidi contadini, per poi sparire tra fuochi, risa ed odore di zolfo. Nelle sembianze di un cane, anch'esso nero, a volte senza testa, amava scorrazzare, nottetempo, per strade buie e campagne, terrorizzando chiunque incontrasse. A Selvapiana, "faceva l'asino", digrignando i denti rossi. A S.Martino scalpitava, di notte, in un'aia fangosa, senza lasciare tracce. Appariva sotto forma di cavallo che sprigionava scintille, alla Bandita di Monteriolo. A Pontemessa, prendeva il volo come un ippogrifo. A Casteldelci, era una chioccia fra i pulcini; un gallo canterino, nel bosco di Pagno. Altrove era una scrofa con dieci maialini, o un lupo; nessun tipo di trasformazione pare fosse preclusa, a lui ed ai suoi Diavoli.
Era poi proverbiale per laboriosità: "Quend e' Diévli u fa par sé, u bassa al corni e u beda lé" (quando il Diavolo lavora per se stesso, abbassa le corna e pensa solo a lavorare). Si sa, ad esempio, che qui come praticamente ovunque, fu grande costruttore di ponti, ma queste sue fatiche, erano sempre ricompensate con un inganno; come nella leggenda del ponte di Rimini, la cui costruzione non riusciva mai ad avere termine. Gli abitanti si rivolsero a S.Giuliano e questi, che aveva riconosciuto nei ritardi l'opera del Diavolo, chiese a Berlicche stesso di costruire il ponte. Il Diavolo acconsentì a patto che, l'anima del primo che vi fosse transitato, fosse stata sua. Una volta terminati i lavori, S.Giuliano, visto un cane nelle vicinanze, fece rotolare una pagnotta lungo il ponte ed il cane, per afferrarla, lo attraversò (alcune versioni riportano che vi fece rotolare una forma di formaggio, il cui interno molle, era detto "anima"). Resosi conto che, il prezzo della sua fatica sarebbe stata l'anima di un cane, Berlicche s'infuriò e prese a calci la sua opera, sulla quale, ancora si riconoscono le impronte dei suoi zoccoli.
Altrettanto proverbiale, era la sua fama di ballerino, come si diceva un tempo: "E' bal l'è de' Dièval" (il ballo è del Diavolo). Il suo obiettivo, pare fosse quello di spogliare, durante le orge danzanti, qualche donna; in questo modo, lui ed i suoi Diavoli, avrebbero potuto danzare, ogni notte, per l'eternità, nello stesso luogo, quelli che venivano chiamati: i "balli angelici" (così chiamati, forse perché, la tradizione voleva che i ballerini fossero "nudi come angeli"). Si favoleggia che, alcuni di tali festini, si svolgessero al castello di S.Martino ed in una casa isolata di Corneto. A Maiolo, presso S.Leo, si udivano gli schiamazzi di un "ballo angelico" che fu interrotto da una gigantesca frana che avrebbe travolto tutto, eccezzion fatta per il suonatore di fisarmonica, rimasto illeso.
Un fisarmonicista è, appunto, il protagonista di una föla diffusa in Romandìola. Questi, rispondendo ad un amico che lo invitava a suonare ad una festa in una casa lontana, disse: "A patto di suonare, andrei anche a casa del Diavolo!". Mentre, di buio, camminava verso la casa della festa, accompagnandosi col suono della fisarmonica, gli apparve un gomitolo nero danzante, che lo precedeva, scomparendo ad ogni edicola e ricomparendo dopo averla superata. Pur terrorizzato, memore della passione del Diavolo per la danza, continuò a suonare temendo di peggiorare la situazione e non smise di farlo, finchè non giunse presso la casa della festa. Qui, dopo un'ultima piroetta, quel Diavolo di un gomitolo sparì, lasciandolo più morto che vivo dallo spavento.

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