L'usëll granflon

(l'uccello grinfione)


Il grifone, nella favolistica orientale, appare come un mostro, per i greci era sacro ad Apollo ed era raffigurato con la testa ed il becco d'aquila, il corpo rossastro di leone, le ali bianche (talvolta di pipistrello) ed un lungo collo blu.
Andrea Da Barberino, dà la descrizione che segue, di un esemplare maschio di grifone (le femmine, a parer suo, erano di proporzioni maggiori), ucciso da Guerrino, detto "il meschino", sulle rive dell'Indo: "Allora egli volle guardare come era fatto e lo trovò dal mezzo indietro leone, e dal mezzo in avanti pennuto. […] ed aveva le ali che avevano più di dieci braccia di larghezza. Il suo capo ed il collo erano della forma dell'aquila, ma però alquanto più grossi" (Andrea Da Barberino: "Guerino detto il Meschino").
Credo, però, non si possa affermare con certezza che, l'usëll granflon della novellistica della Romandìola, fosse un grifone; le trascrizioni ritrovate, parlano di un "uccello grinfione", né sono riuscito a trovarne una descrizione, seppur vaga ed incompleta.
La stessa novellistica afferma che, il tocco di una sua penna, abbia il potere di guarire da ogni male e, perfino di resuscitare i morti. Un esemplare di tale uccello, abitava nella valle della Sisa, come racconta la föla che segue.

C'era una volta un re molto malato, al quale, i medici avevano diagnosticato, come unica possibilità di guarigione, il tocco di una penna dell'usëll granflon.
Così, il re, mandò i suoi tre figli alla ricerca della "medicina", promettendo il suo regno, a chi l'avesse trovato. Ad un certo punto, per proseguire meglio la ricerca, i tre si divisero, dandosi appuntamento, nello stesso luogo, una volta terminata la loro ricerca. I due maggiori non ebbero e, quando videro tornare il minore, con una penna che aveva strappato all'usëll granflon, decisero di ucciderlo e lo seppellirono in un canneto nelle vicinanze. Qualche tempo dopo, un pastore, passando di li e vedendo una bella canna, più alta delle altre, decise di usarla per farne un flauto. Quando andò per suonarlo, ne uscì una voce che diceva: "O guargianen che in brazza a mi tenì / sunè ben pian, che e' cor a mi ferì / son stê ammazzê int la vall di Sisa /son stê ammazzê par poca uccasion / sol par la penna de l'usëll granflon (o pastorello che in braccio mi tenete, suonate piano, che il cuore mi ferite; io fui ammazzato nella val di Sisa; fui ammazzato per futil cagione: sol per la penna dell'uccell grinfione)".
Il pastore provò più volte a suonare e fu la stessa musica, allora decise di sndare per il mondo, guadagnandosi da vivere con quel fenomeno di flauto. Un giorno capitò sotto la finestra del re il quale, uditolo, volle provare anche lui a suonarlo. Ne uscì, allora, questo ritornello: "O padre mio, che in brazza mi tenì / unè ben pian, che e' cor a mi ferì / son stê ammazzê int la vall di Sisa / son stê ammazzê par poca uccasion / sol par la penna de l'usëll granflon / se i mi fradell l'avessi dumandeda / sol par amor a gli avreia dêda (o padre mio, che in braccio mi tenete, suonate piano, che il cuore mi ferite; io fui ammazzato nella val di Sisa; fui ammazzato per futil cagione: sol per la penna dell'uccell grinfione; se i miei fratelli l'avessero domandata, sol per amore gliel'avrei data)".
Il re, allora, si fece dire dal pastore, dove avesse tagliato la canna dalla quale aveva ricavato lo strumento e dissotterrò il corpo del figlio, che riportò in vita col tocco della penna dell'uccello grinfione. Avrebbe, poi voluto seppellire, nella stessa buca, i due fratelli malvagi, ma il piccolo, chiese che fossero perdonati; così fu fatto e tutti vissero felici e contenti.

Ucello Grifone
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