Cronache dalla campuria

a cura di Giovanni Zanzani

Giovanni Zanzani

 

5 luglio 2010 Football


Un calciatore della Campuria venne condotto un giorno di fronte al piccolo stadio dove aveva giocato da giovane. Si trattava di un uomo di novant'anni ma di buona memoria e tutti i presenti si chiedevano quali favolosi ricordi calcistici gli evocassero quelle zolle erbose.
Sceso dalla vettura che lo aveva portato fin lì, il consunto giocatore si avviò verso l'impianto sportivo col passo lento di chi, avendo attraversato ormai tutta la vita, non ha più fretta di andare da nessuna parte. A mano a mano che si avvicinava all'ingresso, i suoi occhi diventavano più lucidi e quando lo ebbe superato, una lacrima gli rigò il volto segnandolo come avrebbe fatto una goccia di rugiada su una roccia. Infine, nel silenzio commosso degli astanti, parlò.
- Quante ce ne siamo date!
Qualcuno credette di aver capito male - forse il campione voleva alludere a scontri di gioco?
- Botte, amico, quante ne ho date, e quante ne ho prese. Ogni partita una rissa!
Quel che ricordava con più calore il vecchietto non erano i dribling o i traversoni, ma i cazzotti che scambiava con avversari e pubblico, prima, durante e dopo le partite. Così, quando sento parlare di fairplay e di gioco leale, ripenso a lui e quasi mi faccio una risata.
Il calcio è guerra, lo sanno anche i bambini. In un incontro che disputai proprio a quell'età, la squadra avversaria era composta da bambini di città, piccoli calciatori vestiti di tutto punto con tanto di scarpini e tacchetti, condotti tra stalle e fienili a giocarsela contro noi campagnoli, il cui equipaggiamento avrebbe fatto il paio con quello dell'armata brancaleone. Ci riempirono di gol e risero di noi che non sapevamo nemmeno cosa fosse il fuorigioco. Finito il match, quando furono tutti nel pollaio che fungeva da spogliatoio, li chiudemmo dentro e li annaffiammo per benino col tubo dell'acqua - era inverno - prima di tornare felici e contenti alle nostre case. Fummo esclusi dal torneo, ma gli facemmo pagare caro di averci battuti.
Un altro campione di queste parti faceva il portiere, un portiere pieno di grinta e capace di agguantare al volo tutti i palloni. Però era freddoloso e d'inverno i suoi fans gli accendevano una stufa a segatura dietro la porta. Tra un'azione e l'altra il bravo portiere si scaldava le mani, mentre la sua squadra vinceva la partita.
Ora veniamo ai mondiali in corso in Sud Africa. Uno dei risultati di quel torneo è stato quello di aver finalmente raddrizzato il torto subito dalla compagine azzurra nel 1966. Ma andiamo con ordine.
Nel pomeriggio del 19 luglio 1966 a Middlesbourgh l'ala destra della Corea del Nord, Pak Doo Ik, affondò la nazionale italiana nell'ultima partita degli ottavi del mondiale che si disputava in Inghilterra. Il nostro paese incassò la sconfitta molto male, per decenni quel ricordo continuò a rappresentare un'ombra nel profilo della squadra azzurra, e il tecnico Edmondo Fabbri ne ebbe la carriera addirittura rovinata.
Finalmente è giunta la riabilitazione per tutti: a Sud Africa 2010 la nazionale italiana di calcio ha fatto così schifo che quella del 1966 può essere ricollocata di diritto nel novero delle buone squadre. Quindi vedete che non tutto il male viene per nuocere.
Il motivo del nostro insuccesso a Sud Africa 2010 non richiede grandi analisi calcistiche, gli azzurri sono stati eliminati perchè sono dei brocchi. O forse perchè avevano freddo e nessuno gli ha acceso una stufa a bordo campo..
Giovanni Zanzani


Giovanni Zanzani

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La prossima cronaca verrà pubblicata il 19 luglio 2010

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