Guardie e ladri

 

Quando Aldo Premilcuore rubò le scarpe dall’espositore girevole del grande magazzino non poteva immaginare nemmeno lontanamente in quale guaio si stesse cacciando. Il conto esatto di quanto avrebbe risparmiato se invece di sottrarle le avesse acquistate sarebbe stato pronto quattro anni dopo, il tempo trascorso in galera a causa di un paio di scarpe da cinquanta euro.
Bisogna sapere che le maledette scarpe non erano il primo oggetto rubato da Aldo nel grande magazzino e nemmeno quello di maggior valore. In cima alla lista c’era il tappeto persiano, un Bukhara di quattro metri per cinque del valore di duemila euro. Il forno a microonde veniva al secondo posto alla pari con lo smartphone, mille al pezzo. Poi c’erano la mountain-bike, il completo di coltelli da carne e la grande ventola da soffitto, nell’ordine ottocento, cinquecento e trecento euro. Il resto era cianfrusaglia, cosucce da cento in giù, fino alle caramelle alla menta, la sua passione: a tre euro il tubetto ne aveva fatte fuori due stipendi buoni.
Fatica ne aveva fatta poca per portare a termine quei movimenti, lo sforzo che serve al capo-sorveglianza di un grande magazzino per caricare la refurtiva sull’auto di servizio e scaricarla nel garage di casa. Le calzature le aveva adocchiate alle cinque del pomeriggio di un martedì, una giornata loffia durante la quale le poche massaie entrate a far compere non si erano fregate nemmeno un etto di margarina. Fossero così tranquilli tutti i giorni, aveva pensato Aldo, la metà di noi guardie perderebbe il posto. Le scarpe erano quelle che un ragazzotto un po’ stracciato cercava di fregare dalla piattaforma girevole posta all’ingresso:
-No giovanotto, se le piace quel paio deve salire al primo piano e cercare negli scaffali. La merce esposta qui serve solo per presentazione.-
Aldo ci godeva a terrorizzarli i teppistelli del quartiere, gli sembrava di giocare al gatto col topo. Alle parole del vigilante sbucato chissà da dove alle sue spalle, lo scugnizzo era scattato come una molla e si era dato alla fuga. Lui si era messo a ridere e guardando le calzature esposte aveva concluso che erano proprio belle, finto coccodrillo rosa e fibbie cromate azzurro astronauta. La sera stessa, finito il giro dei controlli, se le era infilate direttamente nei piedi. Era stato in quel momento che gli era venuto in mente di lasciare nell’espositore girevole i vecchi scarponi al posto delle calzature rubate. Gli sbarbatelli lo facevano, la cosa aggiungeva spavalderia al furto e in fondo divertiva anche lui che doveva indagare per scoprire l'autore. A casa, mentre si rimirava nello specchio con le scarpe da fighetto, rise non poco dell’idea di avere scimmiottato i mariuoli del quartiere. Non fosse stato per Adele, la sua fidanzata, tutto sarebbe finito lì.
-Che scarpe da finocchio ti sei preso, amore! E i tuoi begli anfibi da califfo che fine hanno fatto?-
Il cervello di certi maschi è strano, a volte reagisce agli stimoli come quello di un coccodrillo scemo. La frase di Adele sull’identità sessuale delle calzature aveva attivato nella mente del capo-guardiano una reazione dalle conseguenze disastrose. L’amore quella sera gli riuscì malissimo e per tutta la notte una idea gli percorse il cervello come un'infiammazione acuta: riagguantare i vecchi anfibi.
La mattina seguente, quando poté dare un’occhiata all’espositore girevole del grande magazzino, i suoi gloriosi scarponi borchiati non c’erano più. Doveva averli ritirati una delle commesse incaricate di tenere in ordine le vetrine. Si trattava di individuarla e chiederle dove li avesse gettati. Così scese nella saletta della sicurezza per visionare le registrazioni delle videocamere. Già che c'era, si ricordò che doveva ancora cancellare i due minuti che lo immortalavano mentre rubava le scarpe rosa.
Nel locale regnava un silenzio metallico, attraversato dal fruscio appena percettibile dei computer che trasformavano la vita del centro commerciale in una lunga sequenza di immagini. Aldo visionò le riprese fino a trovare l'inquadratura sulla piattaforma girevole, ma nel file lo attendeva una sorpresa: anche i suoi anfibi erano stati rubati! Proprio così, i suoi scalcinati anfibi se li era fregati una ragazza di passaggio. Aldo fece scorrere il video più volte, la ladra era anche uno schianto di femmina.
Serve ancora continuare? Serve a qualcosa raccontare che Aldo le fece la posta per giorni fino a beccarla nel parcheggio del centro commerciale? Serve a qualcosa dire che intimandole di consegnargli gli anfibi che portava nei piedi Aldo le puntò la pistola e le diede una sfilza di ceffoni?
Se la malcapitata fosse stata una delle bulle che rubacchiano nei grandi magazzini la cosa sarebbe finita lì, con lei che si incerottava le labbra spaccate e lui che si rimetteva gli anfibi da califfo. Ma questa non è una storia di tutti i giorni. Nella vicenda di Aldo Premilcuore la ragazza era la figlia del direttore del grande magazzino che aveva ottenuto dal padre il permesso di prendere quei fighissimi anfibi sporchi finto usati esposti all’ingresso. Al direttore non era parso vero che la propria viziatissima rampolla avesse, una volta tanto, preferito il supermercato di papà ai negozi del centro.
Ora non serve proprio a nulla che io continui, anche se tutto sommato, tre anni di carcere per la rapina a mano armata delle proprie vecchie scarpe mi sembrano tanti. Quanto all'anno in più comminato dal giudice alla guardia giurata Aldo Premilcuore per il furto di tutto quel ben di Dio che le indagini portarono alla luce nel suo garage, bisogna ammettere che qui ci fu maggior equità: le guardie non dovrebbero fare i ladri!

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