UN ESTATE ROMANTICA PER IL COMANDANTE BALSIMELLI
romanzo a puntate illustrato
di
Giovanni Zanzani
Capitolo 26
Il Delfino volava sul mare come per scrollarsi di dosso la noia accumulata nei lunghi giorni di sosta. Da comandante di uno yacht in crociera, Annibale Balsimelli era passato ad essere un delinquente ricercato dalla Marina del Regno di Jugoslavia, trascinando con sé, oltre al marinaio Rosario Madonia, il barone Cosimo Nasca.
Ad Annibale venne da chiedersi cosa avesse spinto il barone a buttarsi in quell'avventura, non credeva che avrebbe accettato così alla svelta. Forse era stato l'accenno alla scommessa, quando c'era da affrontare un azzardo il nobile siciliano non si tirava mai indietro, anche lo yacht su cui viaggiavano se l'era guadagnato al tavolo verde. Ma ciò che doveva avergli fatto superare gli indugi era la faccenda di Bari, l'essere stato salvato dal comandante Balsimelli. Si trattava di un debito d'onore e il barone era pur sempre un gentiluomo.

Dopo essere partiti infrangendo il divieto della gendarmeria, non restava altro da fare che raggiungere la costa settentrionale di Brazza, imbarcare gli inseguiti e fuggire verso il mare aperto. Poco prima, parlando con don Cosimo, aveva affermato che in un'ora sarebbero arrivati a destinazione, ma adesso, osservando la costa alla sua sinistra, capì che la previsione era errata, dopo trenta minuti capo delle Planche era già stato doppiato.
- Viriamo, Rosario.
La prua dello yawl girò verso nordovest mentre le vele venivano cazzate per passare dal lasco alla bolina. Il marinaio fu lesto a manovrare e il Delfino affrontò il maestrale che gli giungeva ora dalla sinistra del mascone. Su quell'andatura la velocità della barca sembrava essere raddoppiata, nel chiarore notturno le propaggini dell'isola scorrevano a babordo imbiancate delle onde frangenti sulle rocce. Lontano, oltre la prua, qualche punto luminoso marcava la presenza di rade abitazioni sulla riva del canale di Brazza. Il punto su cui Annibale stava dirigendo non era distante, dalle osservazioni fatte il giorno che aveva seguito i due innamorati sapeva che il luogo dove il sentiero finiva in mare doveva trovarsi in una caletta oltre il promontorio. Secondo i suoi calcoli le squadre di ricerca avrebbero spinto i fuggitivi ad allontanarsi in quella direzione e Annibale sperava di raggiungerli prima che lo facesse la muta degli inseguitori. Non era che una possibilità, ma se fosse riuscito a giungere in tempo, poteva accoglierli a bordo del Delfino e trarli in salvo.
Capo delle Planche era scaduto da poco a sinistra quando giunsero nella piccola baia. Annibale ordinò a Rosario di mollare le scotte e l'abbrivio condusse l'imbarcazione fino a breve distanza dalla riva dove il vento era pressochè fermo. L'ancora fu calata mentre le vele restavano in bando e la scialuppa veniva messa in mare.
Forse erano giunti troppo tardi, pensò Annibale quando vide le prime luci degli inseguitori che si affacciavano sul crinale della collina. Fu allora che il barone, che fino a quel momento aveva assistito alle manovre senza fiatare, attirò l'attenzione degli altri indicando qualcosa che si muoveva nell'acqua a lato del Delfino. Si trattava di una barchetta con due persone a bordo che procedeva verso il largo spinta da poderose remate. Nello stesso istante anche sul piccolo natante si accorsero della grande barca ferma a poca distanza e i colpi di remo cessarono. Annibale balzò sulla propria scialuppa e la spinse in direzione degli sconosciuti che nel frattempo avevano rimesso in movimento la barchetta. Ormai erano così vicini che si poteva udire il respiro del rematore che vogava con tutte le sue forze per allontanarsi verso il mare aperto. Non c'erano dubbi, si trattava proprio dei due ragazzi che tentavano di fuggire. Annibale chiamò il nome di Domenica a gran voce.
- Non si avvicini - rispose la ragazza - siamo armati!
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