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Il motociclista

di

Giovanni Zanzani


E' nella messa in moto la prima differenza evidente tra una motocicletta inglese e una Guzzi: al terzo tentativo fasullo si stramaledice la regina e il passo Whitworth. La schiena rotta dopo venti chilometri non fa che confermare le perplessità sulla marca britannica. Nel 1946 tuttavia, a dispetto dei guzzisti e degli amanti dei decimali, le motociclette inglesi sono in gran voga ed è proprio una Matchless che in un giorno d'estate di quell'anno percorre un rettifilo della pianura emiliana. Quel tratto di strada è orientato ad ovest e centra perfettamente la facciata di una piccola chiesa parrocchiale. Ai lati della carreggiata sorgono alcune case coloniche, un paio di case padronali, un villino liberty e due basse file di case operaie. I fossi ai lati, i ponticelli che li attraversano in corrispondenza di ogni ingresso, le siepi e le barriere di recinzione che si succedono senza interrompersi, gli alberi nei giardini e la ordinata distanza degli edifici dalla via, conferiscono al luogo un aspetto aggraziato. Elemento chiave del panorama, verso il quale tutte le linee convergono, è la facciata dell'edificio sacro. Di fronte ad esso la strada curva a sinistra e prosegue verso il paese successivo che si trova a qualche chilometro. Chi non vuol proseguire per la via principale può voltare a destra e immettersi su una strada più piccola che si perde nella campagna, oppure infilare il viottolo che, costeggiando il lato nord della chiesetta, conduce a un borgo poco distante.
La Matchless non segue la prima di queste traiettorie che la costringerebbe ad una curva abbastanza impegnativa benché sostenibile a una certa velocità, né la seconda per la quale dovrebbe quasi fermarsi e nemmeno la terza, certamente più accidentata delle altre. Tenendo conto che il guidatore è del paese e che conosce perfettamente le tre strade, essa segue una traiettoria inspiegabile: va dritta contro la chiesa.
Non è vero che sono gli occhi dei montanari ad essere pieni di cielo, solo chi vive in pianura sa cosa esso sia per averne una estensione tale sopra di sé da temere che gli cada in testa. E' in quella ossessione che nasce l'amore degli abitanti delle terre piatte per la motocicletta. Fondamento di questo rapporto è il dialogo col cielo, l'implacabile cielo che incombe su chi sta fermo come uno sguardo puntato.
Sbaglia chi ritiene collegati velocità e movimento, ogni cosa sembra ferma quando si corre in moto, la realtà esterna è un mondo congelato, attraversato dal cuore del pilota. Se il vento scuote le chiome degli alberi, il suo occhio le fotografa semplicemente deformate. Ferme le persone che incrocia, i loro gesti percepiti come sequenze di scatti. Il cielo no, il cielo si inclina e gioca con lui, l'azzurro cielo solcato dalla sua fronte. Poi, finita la corsa, ritroverà il muoversi della vita, la formica che attraversa il tavolo, la cicca che fuma, le mani che sudano. Così seduto all'ombra dopo una volata si riappropria dell'esistenza, mentre il cuore si calma. Ecco come trascorre l'estate il centauro, tagliando la pianura da un punto all'altro per fare correre e rallentare il cuore.
Una leva da freno appesa alla parete del garage è tutto ciò che resta della moto, la vedo da trent'anni ma è lì da molto di più, un ricordo da uomini. Ce l'ha messa un amico, nessuno ha mai pensato di toglierla. Un giorno qualcuno che non sa nulla la butterà via. Sul pavimento sono ancora visibili delle macchie d'olio, la più grande in corrispondenza del punto dove sostava il motore.
La prima volta che sentii la storia del motociclista suicida fu da una trentenne che usciva con noi sedicenni. Non si era trovata la frenata per terra, disse, un matto, non c'erano dubbi. La sua scollatura ci distolse e non se ne parlò più. Il fatto però mi rimase impresso, allora pensai per le circostanze nelle quali lo avevo appreso o per la sua drammatica spettacolarità, ora credo per la freschezza della materia sulla quale si incidono gli avvenimenti quando si impara a vivere.
E' la disposizione delle case a far capire che fuggendo da un luogo se ne è raggiunto un altro, che se non fosse per quella diversità sarebbe identico. Le case della pianura sono piccole e uguali, collocate a formare paesi lungo le strade come mosche attaccate a un filo. Nel mezzo, sostenuto dalle schiene dei vecchi seduti, c'è il bar. Quando il motociclista si ferma essi smettono di parlare e lo guardano, la saggezza inutile di fronte all'inesperienza gagliarda. Nessuna reazione tra loro, solo una battuta del più scontroso, ancora non rassegnato alle carte e al bicchiere, punteggia il disagio. La motocicletta sta appoggiata alla staffa laterale, la ruota anteriore reclinata sul telaio, lei che in marcia sceglie la linea giusta, ora finalmente rilassata, come una testa sulla spalla sovrappensiero. Qualche filo d'erba si intreccia con i raggi sfiorando le cifre stampate sul fianco del pneumatico. Il tubo di scarico tintinna raffreddandosi, pronto a ricominciare di nuovo tutto quel chiasso.
Fu nello stesso paese che mi capitò di sentir parlare per la seconda volta del motociclista della chiesa. Successe mentre bevevo una birra. Chi me lo stava raccontando aveva assistito alla scena dallo stesso punto dove ci trovavamo in quel momento, la vecchia osteria. Era luglio e la disgrazia era accaduta di pomeriggio. Il rombo cresciuto rapidamente d'intensità gli aveva fatto sperare di assistere a una piega memorabile, e invece aveva visto il bolide volare sulla facciata. L'impatto contro lo stipite della porta aveva scagliato moto e passeggero fino alle nicchie dei santi che si trovano a sei metri d'altezza. Lo conosceva poco, sapeva che era un maestro di scuola e un tipo solitario. Di più non disse tranne che certamente non era un compagno.
I motociclisti non sono i soli a sfidare il cielo, anche le guglie dei campanili affrontano il vento disperdendovi gli atomi delle loro banderuole. Come sfrenati corridori quei santi di latta acciaccano le carene consumandosi felici, perché vi è felicità nell'attrito.
Di li a qualche anno un anziano veterinario riportò per me in luce la vicenda. Nonostante il suo racconto si sviluppasse attraverso ideogrammi tecnici, esso emanava ancora un forte profumo di emozioni. Proprietari di moto entrambi, si vedevano in officina per i numerosi interventi di manutenzione che il pessimo stato delle strade e una meccanica rudimentale richiedevano. Lo sfortunato ragazzo era stato vittima, sosteneva, di un banale guasto meccanico in quanto le sollecitazioni potevano provocare su quel tipo di macchina il blocco della farfalla in posizione di apertura. L'acceleratore incagliato avrebbe dunque trasformato quel veloce mezzo in un proiettile impazzito. Il veterinario si dilungò poi sulla difficoltà di reperire pneumatici - potevano costare più della moto stessa, forse gli era esplosa una gomma, chissà...
Vi è qualcosa in comune tra la motocicletta e l'aereo. Una virata e una curva producono effetti simili poiché l'inclinazione del mezzo trasforma la spinta centrifuga sul corpo del pilota in una variazione di gravità. La sensazione che ne deriva è di stare volando, veritiera a bordo di un apparecchio, illusoria ma non meno piacevole sulle due ruote. Oltre a queste, le sole macchine in grado di modificare la gravità sul corpo umano sono la giostra e l'altalena, il che spiega quanto infantile sia il piacere di condurre una moto.
- La moto non era la sua - il vecchio farmacista mi guardò dopo averlo detto e tacque. - Vede giovanotto, quel ragazzo non era molto a posto. Io non so perché avesse rubato la motocicletta, ma ricordo che era conosciuto per quelle mascalzonate. Le posso dire che noi lo consideravamo uno smidollato, come si diceva allora. Non era mai di parola e soprattutto molestava le fidanzate degli altri. Badi, in quegli anni erano i maschi a proporsi, e le donne qualche volta ci stavano, ma nessuno l'avrebbe fatto con quelle degli amici. Lui ci provava con tutte. Si dice che due o tre volte qualche marito geloso gliele abbia date di santa ragione e le confesso che pochi si dispiacquero per la sua morte.
Passato presente e futuro, ecco gli ingredienti del cocktail che ci beviamo tutti i giorni. Dalla loro percentuale relativa dipende il colore della nostra anima. I pessimisti vivono oppressi dal troppo passato, troppo presente è un vizio da egoisti, i giovani e i sognatori si tuffano nel futuro, spesso non riemergendo più. Sulla motocicletta il futuro balza in faccia, il presente urla nelle orecchie, il passato non esiste mai.
Il droghiere è un uomo grasso, un tipo alla Botero, non un mangione, un vero mistico del cibo. Chiacchierando con lui scopro che è anche un letterato con molte idee.
- Si chiamava Alfio, e siamo nati nello stesso giorno sa? Se era un matto? Nel cervello ci sono due vesciche, in una c'è la fantasia, nell'altra la realtà, in mezzo c'è una membrana. Nei poeti essa è sottile, le acque restano divise ma si muovono insieme. Poi ci sono i pazzi e i bambini: in loro la membrana manca del tutto, con la differenza che nei piccoli le acque sono sempre limpide.
Io non so se Alfio fosse ancora bambino oppure già matto, la differenza tra fantasia e realtà però, credo non l'abbia mai capita.
A volte può succedere di accorgersi di qualcosa, un ostacolo improvviso, e di non poter fare nulla, di non essere in grado di evitarlo. A volte si viaggia nella vita a tutta velocità per far rabbrividire il pubblico che si ama.
Il macellaio è un uomo ancora massiccio, una gran fronte resa più ampia da un lieve strabismo, una quercia silenziosa e solitaria. Era il suo amico, andavano a ballare insieme, c'erano stati anche la sera prima. Abitava a due passi dalla chiesa e quando sentì lo schianto, capì senza bisogno di guardare. Scuoteva il capo parlandomene, il suo dolore sembrava immutato. C'erano due donne, le andavano a prendere in un paese vicino. A questo punto il suo racconto si è interrotto, ho cercato di farlo continuare ma è stato impossibile.
Il frugare dei merli nel prato mi annuncia che sta arrivando la primavera. La vecchia moto dorme nella legnaia, sotto una coperta bisunta, offrendo la sella al riposo dei gatti. Aspetta maggio, quando lascerà il riparo invernale per quella specie di battesimo che è la prima uscita di stagione. Allora le sviterò il tappo per controllare il livello del carburante e un buon odore di benzina si diffonderà nell'aria, poi mi dedicherò alla sua pulitura. Essa dovrà brillare come se venisse dalla fabbrica, per presentarsi all'aperto priva di ogni macchia. Dai raggi partiranno frammenti di luce che la rotazione trasformerà in una falce. Mozzi e manubrio, interlocutori trasversali, lanceranno monete d'oro verso il cielo, e i parafanghi, liberi dalla polvere dell'anno prima, aspetteranno di catturarne di nuova. Quando il dorso del serbatoio rifletterà sulla mia faccia l'immagine del sole, sarò pronto a partire.
In un giorno di maggio ho conosciuto la donna del motociclista. L'ho vista intenta a potare una siepe e mi sono fermato, è un'insegnante in pensione.
- Di quel tempo ricordo solo i desideri e le fantasie. Delle azioni nulla. - Però mi ha fatto entrare e all'ombra di una capanna di rose mi ha raccontato il resto.
- Era un ragazzo strano. Credeva di piacermi per la sua moto, io a lui per il mio corpo. Forse non era vero o forse non so. A me credo piacesse per come parlava e soprattutto per come taceva. La prima volta mi disse: ti porto a vedere l'unica cosa sensata di questa guerra. Tra i ruderi di una villa, su un muro, c'era la sagoma di un soldato inglese con l'elmo a bacinella. Uno schizzo fatto col carboncino da un militare alleato in un momento di quiete.
Ho pianto quando è morto. L'incidente non mi sconvolse più di tanto, quello strazio fu soltanto la sua firma. Poi mi sono sposata, e tutto è diventato un ricordo.
La donna amata avrebbe potuto essere una bella conclusione per la storia del motociclista della chiesa, ma il tempo vi ha voluto aggiungere dell'altro. Il priore che abita la pieve è ancora vivo ed ha quasi cent'anni. E' cieco, e la sua magrezza testimonia al pari delle sue parole la condizione di ascetismo nella quale è vissuto.
- Voleva fuggire da questo mondo e avendo a disposizione solo una motocicletta ha usato quella. Nessuno se li ricorda più, ma in quegli anni ce ne furono molti che si tolsero la vita. Con tutto quello che succedeva, le morti che non avevano un movente politico passavano inosservate. E pensare che erano i soli ad avere ancora il senso delle cose, perché gli altri, infiammati dalle diverse bandiere, vivevano e morivano solo per quelle. Dissero che era fascista, io le assicuro che non era vero. Ma non era nemmeno comunista e in quegli anni esisteva soltanto chi si schierava da una parte. Ecco l'orrore delle guerre, trasformare la sconfinata tavolozza del nostro ragionare in due orribili mastelli di colore diverso. Quel giorno fui io a soccorrerlo, inutilmente come lei può ben capire. Gli impartii l'assoluzione: avere scelto il muro di una chiesa era una sufficiente testimonianza di fede.
C'è un destino nei luoghi? A volte sembra di sì. Di quando in quando mi reco nel paese del motociclista che non è lontano dalla casa dei miei vecchi, sul piccolo sagrato c'è una panchina dove siedo a leggere il giornale. L'anno scorso ci sono stato per il funerale di Achille. Abitava in fondo al rettifilo e l'abbiamo portato a spalle fino alla chiesa.
Ci eravamo visti l'ultima volta nella trattoria all'aperto dove fanno mattina tutti gli spiriti inquieti della zona. Come sempre sbraitava contro qualcosa di ingiusto, non ricordo bene se di sport o di politica. Beveva e abbaiava tracciando con le mani, ormai rinsecchite dalla malattia, grandi cerchi per aria. Le sue affermazioni avevano toni apocalittici.
Sei mesi prima di morire mi ha voluto regalare la sua moto. Ho insistito perché accettasse un po' di soldi, che credo abbia usato per farsi le ultime pere. E' una grossa moto e mi incute un certo timore, ma non sarò mai capace di liberarmene.
E' di nuovo estate. Gli appunti sul motociclista contendono gli spazi del mio tavolo alle spuntature di toscano anch'esse in accumulo da anni. Oggi ho visto che ne sono passati più di trenta da quando cominciai ad annotarli ed ora credo che non ci sia più niente da aggiungere. Ho sempre pensato che avrei dovuto scriverla io questa storia, e invece piano piano si è scritta da sola.
Scende la notte, sento passare una motocicletta e so che il faro accende davanti a lei una nevicata di falene. Nella sua scia il mondo si divide in fughe di catarifrangenti. Il motociclista stringe il manubrio come in sogno, e al suo dubbio di esistere si oppone soltanto il riverbero dei tubi roventi.

Giovanni Zanzani


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