IL REGOLATORE DELL'OROLOGIO
di
GIOVANNI ZANZANI
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-Non mi interessa da dove vieni, Crespino, anzi non lo voglio proprio sapere. Di questi tempi meno si sa, meglio è. Hai voglia di lavorare? Allora resta. Solo una cosa ti dico: niente armi in casa mia.-
Bernardo tacque e Crespino posò a terra la bisaccia. Non aveva dubitato che l’oste del Moro gli avrebbe dato una mano, era un buon uomo e poi nella sua bettola non si era mai negato aiuto a chi usciva dal carcere, si trattava di rispettare una tradizione.
Perché era tornato a San Giovanni? Crespino non avrebbe saputo rispondere a quella domanda, dopo il congedo dal lavoro forzato nelle saline, le gambe lo avevano riportato nel piccolo paese come se la strada per arrivarci fosse la sola che conoscevano: due giorni di cammino, non se n’era neanche accorto. Come i cani che tornano dove qualcuno li ha sfamati, il regolatore si era diretto verso San Giovanni.
Da lontano la campana suonò il mezzogiorno. Crespino si scosse, il bronzo era lo stesso, ma il suo orecchio percepì qualcosa di diverso nella cadenza dei rintocchi: l’orologio era stato sostituito. Bernardo lo guardò.
-Gliel’avevi ridotto male, eh? L’orologiaio che è venuto dopo di te ci ha lavorato una settimana, prima di arrendersi. Il prete ha anche provato a benedirlo, ma non c’è stato niente da fare. Qualcuno ha detto che lo avevi stregato quell’orologio, non c’era verso che segnasse un’ora uguale all’altra. Alla fine hanno dovuto cambiarlo, il nuovo lo ha pagato Ubaldo Montanari per festeggiare le nozze della figlia. Tu la conoscevi vero, Clorinda?-
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