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Srebro

di

Giovanni Zanzani


Mi trovavo con un gruppo di amici a Spalato da dove una barca a vela ci avrebbe condotto alle isole Incoronate. Da tempo desideravamo compiere quel viaggio e l’emozione di partire ci faceva sentire tutti eccitati. Nel tentativo di calmare il mio spirito inquieto impiegavo il tempo che mancava alla partenza percorrendo tutti i vicoli della antica città adriatica. Nel corso di una di quelle passeggiate mi trovai di fronte a un minuscolo negozio il cui ingresso si trovava in un cortile ricoperto interamente da un vecchio glicine. Sulla imposta di legno screpolata dal tempo, si poteva leggere “Slatarnica”, un termine che mi costrinse ad aprire il dizionarietto di croato per scoprire che si trattava di una oreficeria. La porta era così stretta che gli stipiti polverosi lasciarono vistosi segni sulle maniche della mia giacca. Nel silenzio impregnato di odori metallici, un banco di marmo nero divideva il poco spazio riservato al venditore, dal quadrato a disposizione del pubblico, adornato da un pavimento di legno lucido. Dietro al banco non si vedeva nessuno, così tossii per annunciarmi. Quando gli occhi si furono abituati alla oscurità che regnava nella strana bottega, cominciai a vedere il luccichio degli oggetti esposti nelle vetrine. Erano tutti d’argento, specchietti, piccoli vasi, scatole, ma soprattutto medaglie con motivi di animali. Con un fruscìo che mi provocò un brivido di paura, un vecchio scese dalla scaletta posta alle mie spalle. Si trattava di un uomo piccolo e magro la cui esile costituzione contrastava con la pancia che appariva tonda e sporgente. Mentre lo osservavo raggiunse con molta lentezza il suolo facendo presa con le lunghe braccia sui due corrimano della scala e usando le gambe, apparentemente ancor più esili delle braccia, per tenere il corpo in equilibrio. Un paio di occhiali doppi, di quelli che usano gli orologiai, sembrava moltiplicare il numero dei suoi occhi tondi e neri. Quando fu a terra mi fece un inchino e si presentò.
- Boris Pauk per servirla, disse. Se ha visto qualcosa che le piace...
La voce aveva l’accento cantilenante della parlata veneziana che solo qualche vecchio spalatino ancora possiede.
Ero entrato per curiosità, ma quelle parole mi fecero ricordare che un desiderio ce l’avevo, una cosa poco importante, niente più di un capriccio.
- Vorrei una medaglia d’argento con l’immagine di un ragno.
L’uomo ebbe un fremito.
- Un ragno? Qui ho tanti altri animali, uccelli, farfalle, pesci. Guardi che bella mosca!
Il vecchio aveva ragione, disposti con ordine sulle mensole, tanti piccoli capolavori si offrivano alla osservazione dei clienti. Che stupidaggine chiedere qualcosa che non c’era.
- Sono tutti molto belli, dissi. Sono opera sua?
- Li esegue un vecchio incisore. È difficile farlo lavorare, però se mi lascia due giorni le farò incidere ciò che desidera.
Ero raggiante, mai più avrei dimenticato Spalato e la sua piccola zlatarnica. Uscendo notai una squadra di operai che montava un’impalcatura. Il vecchietto che mi aveva accompagnato alla porta li guardò con apprensione.
Trascorsi due giorni, mi presentai a ritirare la medaglia. Il palazzo in corso di ristrutturazione era stato completamente avvolto da reti di protezione. Nascosta dall’orribile bozzolo verde, la bottega del signor Pauk non si vedeva più, solo un foglietto di carta con una scritta a mano indicava la direzione da prendere per raggiungerla. Superata la porticina attesi ancora una volta che l’uomo discendesse sbucando dalla botola rotonda che si apriva nel soffitto. Quando si affacciò notai che la sua barba era ancora più incolta e che sui suoi occhi luccicava un triplice paio di occhiali. La discesa questa volta fu più agile, tanto che nel buio del piccolo ambiente mi parve che il vecchio avesse quattro braccia e quattro gambe. Quando fu a terra mi guardò con rammarico.
- Questa ristrutturazione è un disastro, caro signore. Il chiasso dei muratori impedisce all’incisore di lavorare e le vibrazioni dei martelli pneumatici lo fanno sbagliare di continuo. Mi spiace, ma se vuole il suo ragno gli deve concedere un altro giorno.
Mi parve di capire che l’incisore avesse il laboratorio proprio sopra l’argenteria, forse si trattava dello stesso Pauk, ma non volli fare il curioso.
- La mia barca salpa domani, signor Pauk. Passerò alle nove e se la medaglia sarà pronta la ritirerò. Diversamente me la spedirà in Italia a suo comodo. Mi dica intanto quanto deve avere.
Gli occhietti dell’uomo ebbero un guizzo che gli occhiali moltiplicarono per sei.
- Non se ne parla nemmeno. Domattina avrà la medaglia col suo ragno e allora me la pagherà.
La giornata venne trascorsa dall’equipaggio in gran baldoria nel cantiere dove era stata allestita la barca. Subito dopo il varo, tutti insieme bevemmo alla crociera che stava per iniziare. La partenza venne fissata per le undici del mattino e la serata si concluse con parecchi brindisi nei caffè eleganti del bellissimo lungomare spalatino.
Al mattino, quando giunsi nel cortiletto dell’oreficeria le nove erano passate da un pezzo. All’estremità del vicolo dove si trovava il palazzo, una gigantesca betoniera gemeva spingendo il calcestruzzo lungo tubature snodate che salivano fino al tetto. Il frastuono era orribile e gli operai si muovevano indaffarati tra scrosci di cemento e getti d’acqua. Il biglietto con l’indicazione del negozio era stato strappato, ma dati il frastuono e la confusione nessuno si sarebbe avvicinato lo stesso alla vecchia bottega. Superato un uomo in tuta arancione che mi guardò spazientito entrai nel negozio. Attesi un paio di minuti, poi preoccupato per i rumori e per l’acqua che entrava a rivoli sul pavimento di legno del piccolo negozio, chiamai Boris.
Dal soffitto intravidi la pancia tonda del signor Pauk attraversare il buco prima che passassero le braccia e le gambe che nel buio e nella confusione del momento mi parvero vorticare come se il piccolo uomo ne avesse a disposizione un fascio. Il viso era scuro e gli occhiali che questa volta contenevano ancora più lenti mi fecero capire che Boris aveva veramente più di due occhi.
- Questa incisione mi è costata molta fatica, disse, ed ora come vede sono costretto a rintanarmi in attesa che quei malnati se ne vadano. Tenga la medaglia in mio ricordo, gliela regalo.
La mia supposizione si era rivelata giusta, l’incisore era proprio lui, il vecchio Boris Pauk, un raffinato artista che viveva negli anfratti dell’antico palazzo imperiale. Ancora in preda all’alcol trangugiato la sera precedente, mi sentii girare la testa quando la alzai per seguire l’uscita di Boris attraverso il foro del soffitto. Il vecchio artigiano si aggrappò con quattro esilissime mani allo stipite dell’armadietto che ci stava di fronte, mentre i suoi quattro piccoli piedi si puntellavano sull’altro angolo della stanza. Raggiunta la sommità del muro, il signor Pauk camminò sul soffitto sostenendosi alle irregolarità dell’intonaco e in un guizzo scoparve nel buco non senza avermi sorriso con i suoi dieci occhi. Sono trascorsi molti anni da allora, ma porto sempre con me il ragno inciso nella medaglia d’argento, l’autoritratto di quello spalatino speciale che era Boris Pauk.

Giovanni Zanzani


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