IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al quinto capitolo
Benche' il quinto racconto del signor Arturo parli di statue, il titolo recita “Movimento”. Cio' potrebbe indurre i lettori a pensare che l'autore abbia perduto il cervello e a cliccare in direzione di altri siti abbandonando questa iniziativa editoriale. Prego quei lettori di restare con noi, ben presto scopriranno quanto il titolo sia appropriato alla vicenda.
Da queste parole tutti avranno compreso che nell'episodio numero cinque della saga del signor Arturo accadono cose inimmaginabili. La trama parla di cambiamenti, di eventi inattesi che modificano la realta'. Quante volte succede che qualcosa di nuovo si presenti a complicare la vita? Al signor Arturo la sorpresa provoca prima sconcerto, poi interesse, infine attiva partecipazione. Il ragionier Diaz non si da' pace fino a che l'arcano non sarà chiarito.
Ecco dunque a voi la quinta puntata del romanzo del signor Arturo. Ci troverete una chiesa, un sindaco colluso, un barbone. Se non fossimo dentro un mondo inventato, direi che manca solo un primo ministro ridicolo per fare di quel luogo immaginario il Bel Paese.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
P.S. Per una banale coincidenza la pubblicazione di questo capitolo avviene il 14 luglio, che fu il giorno in cui i parigini buttarono giu' la Bastiglia. I miei editori mi hanno chiesto un breve scritto celebrativo.
Se non fosse che i miei editori sono tipi loschi, direi che la richiesta di celebrare l'abbattimento di quell'antico carcere faccia parte degli atteggiamenti liberal tanto di moda tra gli operatori della carta stampata. In effetti l'azione del popolo di Parigi avvenne in concomitanza con brevi e circoscritti moti di piazza dei quali oggi non si ricorda quasi piu' nulla.
In tutta sincerita' io credo che i miei editori considerino l'abbattimento delle carceri un evento fausto solo perche' sono due tagliagole fuggiti da uno di quegli utili luoghi di detenzione.
Alla fine del percorso che conduceva il signor Arturo al lavoro c’era la chiesa di San Domenico. Quando il tempo lo permetteva, praticamente da aprile a novembre, egli raggiungeva l’ufficio a piedi e i due angeli posti sulla facciata barocca di San Domenico gli davano il segnale che la passeggiata stava volgendo al termine. Largo San Domenico rappresentava per lui il movimento finale di una sinfonia alla quale le trombe dei serafini di pietra partecipavano con puntuale solennità. Superata la chiesa, ecco comparire l’edificio della banca la cui novecentesca ortogonalità gli annunciava le tristezze del dare e dell’avere.
Fu dunque una stonatura ciò che percepì il signor Arturo il giorno in cui l’angelo di sinistra gli si presentò in una posizione diversa dal solito: la mano che per anni aveva rivolto la tromba verso il cielo, ora puntava lo strumento verso la strada, come se l’Apocalisse non dovesse più giungere dall’alto, ma da viale della Repubblica.
Il signor Arturo si fermò a guardare meglio, si stropicciò gli occhi camminando avanti e indietro per osservare la statua da prospettive diverse, infine fu costretto ad ammettere che i suoi occhi ci vedevano perfettamente: il marmoreo trombettiere aveva abbassato lo strumento di quasi sessanta gradi! Ripresosi dallo sconcerto egli proseguì il cammino. Quel giorno, col pensiero rivolto all’incredibile fatto, il signor Arturo lavorò distrattamente.
Trascorse una settimana, la chiusura mensile della contabilità giaceva perfettamente compilata sulla scrivania del signor Arturo e lui, in piedi di fronte alla finestra, guardava il panorama. Sull’altro lato della strada si ergeva il palazzo dell’antica dogana, gioiello di architettura gotica, una vista che rappresentava per il signor Arturo qualcosa di veramente speciale. Egli trovava così armonioso l’intreccio di quelle nervature di pietra da avere fatto della loro osservazione una specie di rito rasserenante. Lo sguardo doveva muoversi dal portale, accarezzare la facciata, salire verso le finestre a sesto acuto e infine posarsi sulle masse dei cavalieri alloggiati nelle nicchie alla sommità dell’edificio. Quel lunedì, dopo aver compiuto il percorso gotico per intero, il signor Arturo non si sentì affatto rasserenato: le spade che per secoli avevano riposato nei foderi di pietra, ora apparivano sguainate, come se i sette guerrieri avessero scorto giù nella via qualche minaccia. Dopo l’angelo di San Domenico anche le statue dell’antica dogana sembravano essersi messe in movimento, il signor Arturo non ci si raccapezzava proprio.
Che fosse la sua mente a non funzionare tanto bene? Non sarebbe stato il primo né l’ultimo impiegato a smarrire la ragione a forza di conti, lo sapeva bene. Dentro di lui il disagio cresceva. Frastornato e inquieto, decise di prendersi una settimana di ferie.
- Riposare un poco mi farà bene.
Trascorsi sette giorni, la sua cera parve decisamente migliorata. Seduto nel giardino di fronte alla Banca delle Arti e dei Mestieri, il signor Arturo trascorreva l’ora di pausa a leggere il giornale. Cercando le sigarette all’interno della giacca, diresse lo sguardo verso la fontana. Lo spettacolo che gli si presentò lo lasciò di sale: il putto di bronzo che aveva sempre visto cavalcare la grande tartaruga, era sceso dalla testuggine e se ne stava rannicchiato dietro a un sasso!
Al signor Arturo le sigarette caddero di mano. Se ne sarebbe rimasto così per un pezzo se non avesse sentito qualcuno battergli una mano sulla spalla.
- Te ne sei accorto anche tu, vero?
Arturo Diaz si girò di scatto. L’uomo che aveva parlato lo guardava con aria interrogativa.
- Accorto di cosa?
- Ti vedo tutti i giorni sai, che leggi il giornale e fumi la sigaretta seduto su questa panchina. La statua del bambino, dico, non vorrai farmi credere che non te ne sei accorto?
Il signor Arturo ebbe un brivido, poi credette di capire. Ecco la spiegazione di tutta la faccenda, pensò, ciò che accade è opera di questo pazzo. Il suo interlocutore aveva un aspetto che non lasciava adito a dubbi: scarpe slacciate, vestiti sporchi, cordicelle che pendevano dalle tasche. D’un tratto si ricordò di averlo visto da qualche parte rovistare nella spazzatura. Doveva essere stato lui a combinare tutto.
- Chi è lei? Che ne sa della statua? Guardi che è reato danneggiare i monumenti!
Il signor Arturo aveva parlato d’un fiato e ora si sentiva meglio. L’altro, senza dar segno di avere capito, riprese:
- Allora, te ne sei accorto o no che il bambino è sceso dalla tartaruga?
- Certo che me ne sono accorto, rispose il signor Arturo, e ora so anche chi è stato a tirarlo giù. Inoltre credo di indovinare chi è che fa questi scherzi con le statue.
Il personaggio lo guardò accigliato.
- Allora, se sai chi è, digli di rimettere a cavallo Garibaldi, perché a piedi fa proprio ridere!
Il signor Arturo si girò: nella grande aiuola al centro del parco l’Eroe dei due mondi era sceso dalla cavalcatura ed ora appariva nell’atto di condurre l’animale per le redini come l’addetto di un ippodromo dopo la gara.
Tremando per lo sgomento, il signor Arturo tornò a guardare il barbone.
- Cosa diavolo sta succedendo?
- Io un’idea ce l’ho. Vieni con me.
Attraversarono il giardino in silenzio, il vagabondo davanti, dietro l’impiegato che lo seguiva. Giunti al palazzo delle poste si fermarono al centro di una rotonda di fronte a un basamento appena costruito. Sopra, impacchettata in un grande foglio di plastica azzurra, la nuova statua attendeva l’inaugurazione.
- L’ho vista quando l’hanno portata i facchini, e ti dico che è proprio orribile. Ecco perché le statue della città sono in rivolta. Bisogna fare qualcosa. Tu ce l’hai l’automobile?
Giunsero a notte fonda, il signor Arturo dopo aver raccontato alla moglie di dover partecipare a una riunione sindacale. Avevano appena legato la scultura al gancio di traino della vettura, quando Arturo Diaz ebbe un ripensamento.
- Prima voglio vederla.
Slegarono le corde che reggevano il telone. Apparve un monumento raccapricciante, una combinazione di astrattismo e asineria dedicato, diceva la scritta, all’impiegato postale ignoto.
- Ma siamo sicuri che si romperà? - chiese il signor Arturo.
- Non importa che si distrugga completamente, è sufficiente che si danneggi. Verrà messa in restauro dentro qualche deposito del comune e per i prossimi cinquant’anni non se ne sentirà più parlare.
I giornali dedicarono all’episodio un certo spazio nella cronaca locale. La rivendicazione dell’armata di liberazione monumentale non venne presa in considerazione. Lo scultore, cognato del sindaco, lo seppe in ritardo, era già stato pagato e stava spassandosela a Parigi.
Tranne il signor Arturo e il suo nuovo amico, nessuno notò i movimenti delle statue, né quelli causati dall’arrivo dell’impiegato postale ignoto, né il ritorno dei vari soggetti alle pose di prima. Perché, dopo l’attentato, tutte le statue tornarono a fare le cose di sempre. Tutte meno la leonessa dell’acquedotto, lei preferì rimanere col leone del museo etnografico presso il quale, nella confusione di quei giorni, si era trasferita. Dopo qualche tempo ebbero anche due cuccioli.
Benche' il quinto racconto del signor Arturo parli di statue, il titolo recita “Movimento”. Cio' potrebbe indurre i lettori a pensare che l'autore abbia perduto il cervello e a cliccare in direzione di altri siti abbandonando questa iniziativa editoriale. Prego quei lettori di restare con noi, ben presto scopriranno quanto il titolo sia appropriato alla vicenda.
Da queste parole tutti avranno compreso che nell'episodio numero cinque della saga del signor Arturo accadono cose inimmaginabili. La trama parla di cambiamenti, di eventi inattesi che modificano la realta'. Quante volte succede che qualcosa di nuovo si presenti a complicare la vita? Al signor Arturo la sorpresa provoca prima sconcerto, poi interesse, infine attiva partecipazione. Il ragionier Diaz non si da' pace fino a che l'arcano non sarà chiarito.
Ecco dunque a voi la quinta puntata del romanzo del signor Arturo. Ci troverete una chiesa, un sindaco colluso, un barbone. Se non fossimo dentro un mondo inventato, direi che manca solo un primo ministro ridicolo per fare di quel luogo immaginario il Bel Paese.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
P.S. Per una banale coincidenza la pubblicazione di questo capitolo avviene il 14 luglio, che fu il giorno in cui i parigini buttarono giu' la Bastiglia. I miei editori mi hanno chiesto un breve scritto celebrativo.
Commemorazione della caduta della Bastiglia
La fortezza della Bastiglia era un carcere
vecchio e malsicuro, incapace di contenere la
massa crescente di malintenzionati che
assediava gli onesti cittadini. I parigini la
abbatterono per erigere carceri piu' grandi
e piu' efficienti. La ricorrenza e' significativa
perche' ricorda ai governanti il dovere
di rinnovare gli strumenti della vita civile.
Se non fosse che i miei editori sono tipi loschi, direi che la richiesta di celebrare l'abbattimento di quell'antico carcere faccia parte degli atteggiamenti liberal tanto di moda tra gli operatori della carta stampata. In effetti l'azione del popolo di Parigi avvenne in concomitanza con brevi e circoscritti moti di piazza dei quali oggi non si ricorda quasi piu' nulla.
In tutta sincerita' io credo che i miei editori considerino l'abbattimento delle carceri un evento fausto solo perche' sono due tagliagole fuggiti da uno di quegli utili luoghi di detenzione.
COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA |
Capitolo quinto
Movimento
Alla fine del percorso che conduceva il signor Arturo al lavoro c’era la chiesa di San Domenico. Quando il tempo lo permetteva, praticamente da aprile a novembre, egli raggiungeva l’ufficio a piedi e i due angeli posti sulla facciata barocca di San Domenico gli davano il segnale che la passeggiata stava volgendo al termine. Largo San Domenico rappresentava per lui il movimento finale di una sinfonia alla quale le trombe dei serafini di pietra partecipavano con puntuale solennità. Superata la chiesa, ecco comparire l’edificio della banca la cui novecentesca ortogonalità gli annunciava le tristezze del dare e dell’avere.
Fu dunque una stonatura ciò che percepì il signor Arturo il giorno in cui l’angelo di sinistra gli si presentò in una posizione diversa dal solito: la mano che per anni aveva rivolto la tromba verso il cielo, ora puntava lo strumento verso la strada, come se l’Apocalisse non dovesse più giungere dall’alto, ma da viale della Repubblica.
Il signor Arturo si fermò a guardare meglio, si stropicciò gli occhi camminando avanti e indietro per osservare la statua da prospettive diverse, infine fu costretto ad ammettere che i suoi occhi ci vedevano perfettamente: il marmoreo trombettiere aveva abbassato lo strumento di quasi sessanta gradi! Ripresosi dallo sconcerto egli proseguì il cammino. Quel giorno, col pensiero rivolto all’incredibile fatto, il signor Arturo lavorò distrattamente.
Trascorse una settimana, la chiusura mensile della contabilità giaceva perfettamente compilata sulla scrivania del signor Arturo e lui, in piedi di fronte alla finestra, guardava il panorama. Sull’altro lato della strada si ergeva il palazzo dell’antica dogana, gioiello di architettura gotica, una vista che rappresentava per il signor Arturo qualcosa di veramente speciale. Egli trovava così armonioso l’intreccio di quelle nervature di pietra da avere fatto della loro osservazione una specie di rito rasserenante. Lo sguardo doveva muoversi dal portale, accarezzare la facciata, salire verso le finestre a sesto acuto e infine posarsi sulle masse dei cavalieri alloggiati nelle nicchie alla sommità dell’edificio. Quel lunedì, dopo aver compiuto il percorso gotico per intero, il signor Arturo non si sentì affatto rasserenato: le spade che per secoli avevano riposato nei foderi di pietra, ora apparivano sguainate, come se i sette guerrieri avessero scorto giù nella via qualche minaccia. Dopo l’angelo di San Domenico anche le statue dell’antica dogana sembravano essersi messe in movimento, il signor Arturo non ci si raccapezzava proprio.
Che fosse la sua mente a non funzionare tanto bene? Non sarebbe stato il primo né l’ultimo impiegato a smarrire la ragione a forza di conti, lo sapeva bene. Dentro di lui il disagio cresceva. Frastornato e inquieto, decise di prendersi una settimana di ferie.
- Riposare un poco mi farà bene.
Trascorsi sette giorni, la sua cera parve decisamente migliorata. Seduto nel giardino di fronte alla Banca delle Arti e dei Mestieri, il signor Arturo trascorreva l’ora di pausa a leggere il giornale. Cercando le sigarette all’interno della giacca, diresse lo sguardo verso la fontana. Lo spettacolo che gli si presentò lo lasciò di sale: il putto di bronzo che aveva sempre visto cavalcare la grande tartaruga, era sceso dalla testuggine e se ne stava rannicchiato dietro a un sasso!
Al signor Arturo le sigarette caddero di mano. Se ne sarebbe rimasto così per un pezzo se non avesse sentito qualcuno battergli una mano sulla spalla.
- Te ne sei accorto anche tu, vero?
Arturo Diaz si girò di scatto. L’uomo che aveva parlato lo guardava con aria interrogativa.
- Accorto di cosa?
- Ti vedo tutti i giorni sai, che leggi il giornale e fumi la sigaretta seduto su questa panchina. La statua del bambino, dico, non vorrai farmi credere che non te ne sei accorto?
Il signor Arturo ebbe un brivido, poi credette di capire. Ecco la spiegazione di tutta la faccenda, pensò, ciò che accade è opera di questo pazzo. Il suo interlocutore aveva un aspetto che non lasciava adito a dubbi: scarpe slacciate, vestiti sporchi, cordicelle che pendevano dalle tasche. D’un tratto si ricordò di averlo visto da qualche parte rovistare nella spazzatura. Doveva essere stato lui a combinare tutto.
- Chi è lei? Che ne sa della statua? Guardi che è reato danneggiare i monumenti!
Il signor Arturo aveva parlato d’un fiato e ora si sentiva meglio. L’altro, senza dar segno di avere capito, riprese:
- Allora, te ne sei accorto o no che il bambino è sceso dalla tartaruga?
- Certo che me ne sono accorto, rispose il signor Arturo, e ora so anche chi è stato a tirarlo giù. Inoltre credo di indovinare chi è che fa questi scherzi con le statue.
Il personaggio lo guardò accigliato.
- Allora, se sai chi è, digli di rimettere a cavallo Garibaldi, perché a piedi fa proprio ridere!
Il signor Arturo si girò: nella grande aiuola al centro del parco l’Eroe dei due mondi era sceso dalla cavalcatura ed ora appariva nell’atto di condurre l’animale per le redini come l’addetto di un ippodromo dopo la gara.
Tremando per lo sgomento, il signor Arturo tornò a guardare il barbone.
- Cosa diavolo sta succedendo?
- Io un’idea ce l’ho. Vieni con me.
Attraversarono il giardino in silenzio, il vagabondo davanti, dietro l’impiegato che lo seguiva. Giunti al palazzo delle poste si fermarono al centro di una rotonda di fronte a un basamento appena costruito. Sopra, impacchettata in un grande foglio di plastica azzurra, la nuova statua attendeva l’inaugurazione.
- L’ho vista quando l’hanno portata i facchini, e ti dico che è proprio orribile. Ecco perché le statue della città sono in rivolta. Bisogna fare qualcosa. Tu ce l’hai l’automobile?
Giunsero a notte fonda, il signor Arturo dopo aver raccontato alla moglie di dover partecipare a una riunione sindacale. Avevano appena legato la scultura al gancio di traino della vettura, quando Arturo Diaz ebbe un ripensamento.
- Prima voglio vederla.
Slegarono le corde che reggevano il telone. Apparve un monumento raccapricciante, una combinazione di astrattismo e asineria dedicato, diceva la scritta, all’impiegato postale ignoto.
- Ma siamo sicuri che si romperà? - chiese il signor Arturo.
- Non importa che si distrugga completamente, è sufficiente che si danneggi. Verrà messa in restauro dentro qualche deposito del comune e per i prossimi cinquant’anni non se ne sentirà più parlare.
I giornali dedicarono all’episodio un certo spazio nella cronaca locale. La rivendicazione dell’armata di liberazione monumentale non venne presa in considerazione. Lo scultore, cognato del sindaco, lo seppe in ritardo, era già stato pagato e stava spassandosela a Parigi.
Tranne il signor Arturo e il suo nuovo amico, nessuno notò i movimenti delle statue, né quelli causati dall’arrivo dell’impiegato postale ignoto, né il ritorno dei vari soggetti alle pose di prima. Perché, dopo l’attentato, tutte le statue tornarono a fare le cose di sempre. Tutte meno la leonessa dell’acquedotto, lei preferì rimanere col leone del museo etnografico presso il quale, nella confusione di quei giorni, si era trasferita. Dopo qualche tempo ebbero anche due cuccioli.
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