IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al quindicesimo capitolo
Ed ora arrivano gli animali. Ma non quelli teneroni che si raccontano ai bambini per far credere loro, povere anime, che il mondo sia pieno di bontà. Gli animali che in un giorno qualsiasi si presentano al signor Arturo lungo le strade della sua città sono bestie vere, nel senso che hanno uno spirito bestiale. Tanto per cominciare sono rozzi esseri che nemmeno i vegetariani lascerebbero in pace, poi hanno abitudini massificate, agiscono in branco e i più miti tra di essi sono i corti di cervello. A questo punto c'è da credere che si tratti proprio di esseri umani.
Già sento alcuni lettori mormorare che di animali di questo tipo nel romanzo c'è già l'autore. Ad essi rispondo che due discrete bestie sono anche gli editori del portale. Quando ci riuniamo nel sotterraneo che funge da redazione sembriamo ratti che bivaccano in una fogna, per fortuna calda. In estate le cose vanno un po' peggio, ma l'amore per l'arte e la letteratura ci conforta e ci fa sopportare le avverse condizioni climatiche.
Firmino, il geniale topo di Sam Savage, ha mostrato al mondo intero come l'amore per i libri possa rendere ricca la vita anche a un “topastro sfigato e malinconico”. Dunque perché non dovrebbe migliorarla a tre bestie come noi?
Gli animali che compaiono in questo racconto sono così, bradi e confusionari, ma basta uno sprazzo di arte per far loro ritrovare la forma migliore, che negli esseri viventi è quella in cui si riflette l'universo.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
La donna tigre tagliò la strada al signor Arturo col passo felpato della caccia, gli occhi dilatati e le narici frementi. Il signor Arturo ebbe un brivido e si immobilizzò contro la vetrina di un negozio. La donna tigre proseguì senza voltarsi e scomparve dietro l'angolo. Senza degnarla di uno sguardo l'uomo rinoceronte continuò la sua corsa sull’altro lato della via. Il signor Arturo si guardò intorno sgomento: in giro c’era aria pesante.
Nella penombra di un portico un bimbo lucertola giocava a palla con un bimbo facocero sotto l'occhio vigile delle governanti insetto. Adriana, una delle due, rivolse lo sguardo al signor Arturo che la salutò con fare compìto.
- Buonasera! - rispose lei arricciando il naso, ma ciò che il signor Arturo percepì fu un suono secco e cartaceo, qualcosa come un – bnsr - che lo fece rabbrividire. Da quando conosceva quella donna, una cliente della banca, non aveva mai potuto soffrire il suono della sua voce, simile al frinire di una cicala mutilata. Le vecchie pappagallo intanto si erano avvicinate al venditore di frutta per guardare cosa portasse sul carretto. Parlando tutte insieme allungarono le mani sui prodotti esposti e il poveretto ebbe un bel da fare a tenerle a freno.
Il signor Arturo riprese la passeggiata dirigendosi sul retro della chiesa dell'Osservanza, dove dal vecchio cimitero dei padri olivetani era stato ricavato un piccolo parco. Raggiunta la sua panchina preferita aprì il giornale. Dal folto dei cespugli qualcuno teneva gli occhi puntati su di lui, il signor Arturo riconobbe immediatamente la ragazza vipera, una povera mentecatta che si divertiva a spaventare i passanti con le sue apparizioni improvvise. Cosa stava accadendo, perché tanta agitazione in giro? Il signor Arturo non riusciva a capire. In quel momento l'uomo elefante entrò nel giardino e raggiunse il signor Arturo sedendosi accanto a lui. La panchina scricchiolò, ma il signor Arturo non se la prese, felice com'era di vedere Sebastiano.
- Buongiorno Sebastiano!
- Buuuooongioornooo, barrì Sebastiano agitando il naso, coooome vaaa?
- Io bene Sebastiano, ma voi bestie cosa fate in giro a quest'ora, è la vostra festa?
- Aaahaa, eeeheee, uuuhuuu!
Sebastiano rise scuotendo la testa e muovendo l'aria con le grandi orecchie. Il signor Arturo attese ancora, ma l'uomo elefante che non riusciva a contenere la propria ilarità all'idea della festa delle bestie non fu in grado di dire altro. Furono le parole di una donna coccinella a illuminare il signor Arturo. Daniela si recava spesso al parco per mettere in mostra la camicetta rossa a palline nere. Fu lei a indirizzarlo sulla buona strada.
- I giorni del calendario, disse. Non si è accorto che non ci sono più?
Il signor Arturo sulle prime non seppe cosa dire, poi si alzò e rientrò in ufficio. Gli impiegati erano usciti e la squadra incaricata della pulizia dei locali sciamava per gli uffici brandendo scope e aspirapolvere. Appena si trovò dentro l'edificio il signor Arturo gettò lo sguardo sul calendario: sotto la fotografia che riproduceva una fontana rinascimentale (il calendario ne contava giusto dodici) vi era uno spazio bianco: nome e data dei giorni erano scomparsi. La sua prima reazione fu quella di controllare gli addetti agli aspirapolvere nell'eventualità che una mano maldestra avesse passato il tubo aspirante sul calendario, ma immediatamente l'ipotesi gli parve insensata. Allora tornò fuori e rifece la strada fino al parco. La ragazza coccinella era sparita, al suo posto il signor Arturo vide Rodegarda, una donna cavalla che da giovane era stata molto bella. Il signor Arturo decise di chiedere a lei. Dopo aver zittito quattro bambine rondine che non la smettevano di strillare, Rodegarda parlò.
- Da quanto tempo, vecchio Arturo, passi per questo giardino guardando la mia criniera imbiancata e chiedendoti a chi possa essere piaciuta?
La domanda prese il signor Arturo alla sprovvista. In effetti erano anni che la osservava e più di una volta si era domandato che fine avessero fatto gli stalloni che si erano presi a calci per i suoi baci.
- Ridotti in bistecche, continuò lei come se gli avesse letto nel pensiero, o trasformati in bolsi ronzini!
Le parole di Rodegarda colpirono il signor Arturo che la guardò senza rispondere.
- E’ così, caro capocontabile, il meglio conservato dei miei spasimanti è ridotto su una sedia a rotelle, ma tu non ti sei deciso a rivolgermi la parola per sapere tutto questo. La cosa che ti turba è la scomparsa dei giorni dai calendari. Cosa vuoi che me ne importi dei giorni, che importanza vuoi che abbiano i giorni per me se non accade più nulla che mi faccia accorgere che un giorno è passato?
Rodegarda tacque mentre il signor Arturo si chiedeva per quale motivo la donna cavalla gli si fosse rivolta dandogli del tu e maltrattandolo in quel modo.
- Ma almeno la data...- provò a dire. Pesantemente Rodegarda si alzò e si allontanò.
Sulla città intanto era scesa la sera, frotte di uomini gatto uscivano delle loro case, mentre uno sparuto gruppo di donne gazzella correva verso la fermata dell'autobus. Un uomo salamandra si avvicinò silenziosamente al signor Arturo ed estratto dalla borsa un giornale sportivo si mise a leggerlo. Per darsi un contegno il signor Arturo si accese una sigaretta e rimase a guardarsi in giro come uno che aspetti un amico. L'uomo salamandra arrivò alla fine della pagina e prima di voltarla allungò lo sguardo verso di lui. Si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di attaccare discorso, ma il signor Arturo, che non l'aveva mai visto, non aveva intenzione di fare la sua conoscenza. L'estraneo si mosse come per riprendere la lettura, invece alzò il capo e chiese l'ora.
- Sono le otto, rispose il signor Arturo, le otto e sette minuti.
- Che giornata, disse quello, vi hanno fatto un bello scherzo a voialtri!
Il signor Arturo credette di aver capito male.
- Mi scusi?
- I responsabili del calendario, dico. Vi hanno messo in un bel guaio.
- Intende riferirsi alla sparizione dei giorni? - domandò il signor Arturo che cominciava a credere a una presa in giro.
- Non faccia l'ingenuo, in città non si parla d'altro. Quelli come lei sono tutti riuniti in municipio a far baruffa col sindaco.
- Come sarebbe quelli come me, cosa intende dire? - ribatté il signor Arturo che si era sempre schierato contro ogni discriminazione. - Non vedo che differenza ci sia tra lei e me, io non ho mai pensato di appartenere a un gruppo privilegiato!
- Privilegiati o no, questa storia dei giorni che non si trovano vi ha messo addosso una bella paura! Quelli che se ne fottono, scusi il termine, dei sabati e delle domeniche, sono a spasso per la città a far baldoria. I cervelloni invece sono tutti davanti al sindaco a chiedere cosa sta succedendo, lei non ce la trova una morale?
Il signor Arturo tentò una affermazione conciliante.
- Non dispiace anche a lei che i giorni siano scomparsi?
- Per me non cambia nulla che un giorno sia venerdi 4 o lunedi 28, per quel che mi riguarda anche l'anno potrebbe essere cancellato. Lasciatemi la notte e buttate pure a mare tutto il resto! - esclamò l'uomo salamandra mentre gli occhi gli roteavano sotto le palpebre verdi.
Dovette trascorrere un altro giorno perché il signor Arturo capisse cosa era successo. Nel caffè dei notai, locale di antica nobiltà con la carta da parati che si staccava dai muri, il signor Arturo incontrò Piero Alcazar, vecchio compagno di scuola che tirava a campare suonando in un pianobar dopo una lunga carriera da concertista.
- È così, disse Piero, lo spirito animalesco si sta impadronendo della città. Per ora si è limitato a cancellare i giorni dal calendario, ma aspetta e vedrai, se nessuno si muoverà, tutti finiremo senza indirizzo e senza nome.
- Piero, sei sempre stato il più intelligente di tutti noi, disse il signor Arturo, ora devi aiutarmi a fare qualcosa.
Insieme si recarono dal sindaco e, ottenuto l’uso di un auditorium attrezzato, organizzarono una serata di musica la cui attrazione principale era rappresentata dal complesso “Virus” un nome di sicuro richiamo. Il giorno prescelto per la rappresentazione la sala era gremita fino all'ultimo ordine di gradinate. Orsi, pecore, cornacchie, dromedari, struzzi, le più bizzarre forme di animalità affollavano il vasto locale. Uomini e donne pesce sgusciavano gli uni sulle altre squama a squama. Non mancavano ibridi ottenuti da incroci fantasiosi tra famiglie di esseri lontanissimi nella scala biologica. Più irrequieti di tutti, gli adolescenti con la faccia da cane si scambiavano i parassiti in un crescendo di eccitazione.
Vennero spente le luci e invece dei “Virus” la platea si trovò di fronte il rinsecchito Piero Alcazar seduto a un monumentale pianoforte da concerto. Coadiuvato dal signor Arturo che avrebbe voltato le pagine dello spartito, Piero diede il via all'esecuzione del Preludio I dal “Clavicembalo ben temperato”.
La folla tacque, nessuno fiatò per tutto il tempo che durò la musica. Piero proseguì con la Fuga I senza distogliere le dita dalla tastiera. Quando l’allampanato pianista ebbe portato a termine la prima frazione della vasta opera, i due uomini guardarono verso il pubblico sperando di individuare tra i musi che stavano puntati in direzione del palcoscenico i primi indizi di umanità.
Alcazar passò al Preludio II, cui fece seguito la relativa Fuga e continuò nell'esecuzione dei brani successivi. Al termine della Fuga X un timido applauso ruppe per poco l’atmosfera cupa della sala e il signor Arturo capì che molte zampe erano tornate ad essere mani. Alla fine della XXIV ed ultima Fuga un applauso scrosciante tenne Piero inchiodato alla ribalta per oltre dieci minuti. Osservando il pubblico il signor Arturo vide che quasi tutti i visi avevano riacquistato sembianze umane. Permanevano orecchie asinine, colli taurini e nasi un po’ maialeschi, ma nel complesso la cittadinanza era tornata ad esibire un buon livello di umanità. Non vi fu nessun bis, ma il giorno seguente, un giovedì 24 marzo, il signor Arturo uscì a cena col vecchio compagno di scuola. Mangiarono assai bene e bevvero anche un po’ troppo.
Ed ora arrivano gli animali. Ma non quelli teneroni che si raccontano ai bambini per far credere loro, povere anime, che il mondo sia pieno di bontà. Gli animali che in un giorno qualsiasi si presentano al signor Arturo lungo le strade della sua città sono bestie vere, nel senso che hanno uno spirito bestiale. Tanto per cominciare sono rozzi esseri che nemmeno i vegetariani lascerebbero in pace, poi hanno abitudini massificate, agiscono in branco e i più miti tra di essi sono i corti di cervello. A questo punto c'è da credere che si tratti proprio di esseri umani.
Già sento alcuni lettori mormorare che di animali di questo tipo nel romanzo c'è già l'autore. Ad essi rispondo che due discrete bestie sono anche gli editori del portale. Quando ci riuniamo nel sotterraneo che funge da redazione sembriamo ratti che bivaccano in una fogna, per fortuna calda. In estate le cose vanno un po' peggio, ma l'amore per l'arte e la letteratura ci conforta e ci fa sopportare le avverse condizioni climatiche.
Firmino, il geniale topo di Sam Savage, ha mostrato al mondo intero come l'amore per i libri possa rendere ricca la vita anche a un “topastro sfigato e malinconico”. Dunque perché non dovrebbe migliorarla a tre bestie come noi?
Gli animali che compaiono in questo racconto sono così, bradi e confusionari, ma basta uno sprazzo di arte per far loro ritrovare la forma migliore, che negli esseri viventi è quella in cui si riflette l'universo.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA |
Capitolo quindicesimo
Spavento
La donna tigre tagliò la strada al signor Arturo col passo felpato della caccia, gli occhi dilatati e le narici frementi. Il signor Arturo ebbe un brivido e si immobilizzò contro la vetrina di un negozio. La donna tigre proseguì senza voltarsi e scomparve dietro l'angolo. Senza degnarla di uno sguardo l'uomo rinoceronte continuò la sua corsa sull’altro lato della via. Il signor Arturo si guardò intorno sgomento: in giro c’era aria pesante.
Nella penombra di un portico un bimbo lucertola giocava a palla con un bimbo facocero sotto l'occhio vigile delle governanti insetto. Adriana, una delle due, rivolse lo sguardo al signor Arturo che la salutò con fare compìto.
- Buonasera! - rispose lei arricciando il naso, ma ciò che il signor Arturo percepì fu un suono secco e cartaceo, qualcosa come un – bnsr - che lo fece rabbrividire. Da quando conosceva quella donna, una cliente della banca, non aveva mai potuto soffrire il suono della sua voce, simile al frinire di una cicala mutilata. Le vecchie pappagallo intanto si erano avvicinate al venditore di frutta per guardare cosa portasse sul carretto. Parlando tutte insieme allungarono le mani sui prodotti esposti e il poveretto ebbe un bel da fare a tenerle a freno.
Il signor Arturo riprese la passeggiata dirigendosi sul retro della chiesa dell'Osservanza, dove dal vecchio cimitero dei padri olivetani era stato ricavato un piccolo parco. Raggiunta la sua panchina preferita aprì il giornale. Dal folto dei cespugli qualcuno teneva gli occhi puntati su di lui, il signor Arturo riconobbe immediatamente la ragazza vipera, una povera mentecatta che si divertiva a spaventare i passanti con le sue apparizioni improvvise. Cosa stava accadendo, perché tanta agitazione in giro? Il signor Arturo non riusciva a capire. In quel momento l'uomo elefante entrò nel giardino e raggiunse il signor Arturo sedendosi accanto a lui. La panchina scricchiolò, ma il signor Arturo non se la prese, felice com'era di vedere Sebastiano.
- Buongiorno Sebastiano!
- Buuuooongioornooo, barrì Sebastiano agitando il naso, coooome vaaa?
- Io bene Sebastiano, ma voi bestie cosa fate in giro a quest'ora, è la vostra festa?
- Aaahaa, eeeheee, uuuhuuu!
Sebastiano rise scuotendo la testa e muovendo l'aria con le grandi orecchie. Il signor Arturo attese ancora, ma l'uomo elefante che non riusciva a contenere la propria ilarità all'idea della festa delle bestie non fu in grado di dire altro. Furono le parole di una donna coccinella a illuminare il signor Arturo. Daniela si recava spesso al parco per mettere in mostra la camicetta rossa a palline nere. Fu lei a indirizzarlo sulla buona strada.
- I giorni del calendario, disse. Non si è accorto che non ci sono più?
Il signor Arturo sulle prime non seppe cosa dire, poi si alzò e rientrò in ufficio. Gli impiegati erano usciti e la squadra incaricata della pulizia dei locali sciamava per gli uffici brandendo scope e aspirapolvere. Appena si trovò dentro l'edificio il signor Arturo gettò lo sguardo sul calendario: sotto la fotografia che riproduceva una fontana rinascimentale (il calendario ne contava giusto dodici) vi era uno spazio bianco: nome e data dei giorni erano scomparsi. La sua prima reazione fu quella di controllare gli addetti agli aspirapolvere nell'eventualità che una mano maldestra avesse passato il tubo aspirante sul calendario, ma immediatamente l'ipotesi gli parve insensata. Allora tornò fuori e rifece la strada fino al parco. La ragazza coccinella era sparita, al suo posto il signor Arturo vide Rodegarda, una donna cavalla che da giovane era stata molto bella. Il signor Arturo decise di chiedere a lei. Dopo aver zittito quattro bambine rondine che non la smettevano di strillare, Rodegarda parlò.
- Da quanto tempo, vecchio Arturo, passi per questo giardino guardando la mia criniera imbiancata e chiedendoti a chi possa essere piaciuta?
La domanda prese il signor Arturo alla sprovvista. In effetti erano anni che la osservava e più di una volta si era domandato che fine avessero fatto gli stalloni che si erano presi a calci per i suoi baci.
- Ridotti in bistecche, continuò lei come se gli avesse letto nel pensiero, o trasformati in bolsi ronzini!
Le parole di Rodegarda colpirono il signor Arturo che la guardò senza rispondere.
- E’ così, caro capocontabile, il meglio conservato dei miei spasimanti è ridotto su una sedia a rotelle, ma tu non ti sei deciso a rivolgermi la parola per sapere tutto questo. La cosa che ti turba è la scomparsa dei giorni dai calendari. Cosa vuoi che me ne importi dei giorni, che importanza vuoi che abbiano i giorni per me se non accade più nulla che mi faccia accorgere che un giorno è passato?
Rodegarda tacque mentre il signor Arturo si chiedeva per quale motivo la donna cavalla gli si fosse rivolta dandogli del tu e maltrattandolo in quel modo.
- Ma almeno la data...- provò a dire. Pesantemente Rodegarda si alzò e si allontanò.
Sulla città intanto era scesa la sera, frotte di uomini gatto uscivano delle loro case, mentre uno sparuto gruppo di donne gazzella correva verso la fermata dell'autobus. Un uomo salamandra si avvicinò silenziosamente al signor Arturo ed estratto dalla borsa un giornale sportivo si mise a leggerlo. Per darsi un contegno il signor Arturo si accese una sigaretta e rimase a guardarsi in giro come uno che aspetti un amico. L'uomo salamandra arrivò alla fine della pagina e prima di voltarla allungò lo sguardo verso di lui. Si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di attaccare discorso, ma il signor Arturo, che non l'aveva mai visto, non aveva intenzione di fare la sua conoscenza. L'estraneo si mosse come per riprendere la lettura, invece alzò il capo e chiese l'ora.
- Sono le otto, rispose il signor Arturo, le otto e sette minuti.
- Che giornata, disse quello, vi hanno fatto un bello scherzo a voialtri!
Il signor Arturo credette di aver capito male.
- Mi scusi?
- I responsabili del calendario, dico. Vi hanno messo in un bel guaio.
- Intende riferirsi alla sparizione dei giorni? - domandò il signor Arturo che cominciava a credere a una presa in giro.
- Non faccia l'ingenuo, in città non si parla d'altro. Quelli come lei sono tutti riuniti in municipio a far baruffa col sindaco.
- Come sarebbe quelli come me, cosa intende dire? - ribatté il signor Arturo che si era sempre schierato contro ogni discriminazione. - Non vedo che differenza ci sia tra lei e me, io non ho mai pensato di appartenere a un gruppo privilegiato!
- Privilegiati o no, questa storia dei giorni che non si trovano vi ha messo addosso una bella paura! Quelli che se ne fottono, scusi il termine, dei sabati e delle domeniche, sono a spasso per la città a far baldoria. I cervelloni invece sono tutti davanti al sindaco a chiedere cosa sta succedendo, lei non ce la trova una morale?
Il signor Arturo tentò una affermazione conciliante.
- Non dispiace anche a lei che i giorni siano scomparsi?
- Per me non cambia nulla che un giorno sia venerdi 4 o lunedi 28, per quel che mi riguarda anche l'anno potrebbe essere cancellato. Lasciatemi la notte e buttate pure a mare tutto il resto! - esclamò l'uomo salamandra mentre gli occhi gli roteavano sotto le palpebre verdi.
Dovette trascorrere un altro giorno perché il signor Arturo capisse cosa era successo. Nel caffè dei notai, locale di antica nobiltà con la carta da parati che si staccava dai muri, il signor Arturo incontrò Piero Alcazar, vecchio compagno di scuola che tirava a campare suonando in un pianobar dopo una lunga carriera da concertista.
- È così, disse Piero, lo spirito animalesco si sta impadronendo della città. Per ora si è limitato a cancellare i giorni dal calendario, ma aspetta e vedrai, se nessuno si muoverà, tutti finiremo senza indirizzo e senza nome.
- Piero, sei sempre stato il più intelligente di tutti noi, disse il signor Arturo, ora devi aiutarmi a fare qualcosa.
Insieme si recarono dal sindaco e, ottenuto l’uso di un auditorium attrezzato, organizzarono una serata di musica la cui attrazione principale era rappresentata dal complesso “Virus” un nome di sicuro richiamo. Il giorno prescelto per la rappresentazione la sala era gremita fino all'ultimo ordine di gradinate. Orsi, pecore, cornacchie, dromedari, struzzi, le più bizzarre forme di animalità affollavano il vasto locale. Uomini e donne pesce sgusciavano gli uni sulle altre squama a squama. Non mancavano ibridi ottenuti da incroci fantasiosi tra famiglie di esseri lontanissimi nella scala biologica. Più irrequieti di tutti, gli adolescenti con la faccia da cane si scambiavano i parassiti in un crescendo di eccitazione.
Vennero spente le luci e invece dei “Virus” la platea si trovò di fronte il rinsecchito Piero Alcazar seduto a un monumentale pianoforte da concerto. Coadiuvato dal signor Arturo che avrebbe voltato le pagine dello spartito, Piero diede il via all'esecuzione del Preludio I dal “Clavicembalo ben temperato”.
La folla tacque, nessuno fiatò per tutto il tempo che durò la musica. Piero proseguì con la Fuga I senza distogliere le dita dalla tastiera. Quando l’allampanato pianista ebbe portato a termine la prima frazione della vasta opera, i due uomini guardarono verso il pubblico sperando di individuare tra i musi che stavano puntati in direzione del palcoscenico i primi indizi di umanità.
Alcazar passò al Preludio II, cui fece seguito la relativa Fuga e continuò nell'esecuzione dei brani successivi. Al termine della Fuga X un timido applauso ruppe per poco l’atmosfera cupa della sala e il signor Arturo capì che molte zampe erano tornate ad essere mani. Alla fine della XXIV ed ultima Fuga un applauso scrosciante tenne Piero inchiodato alla ribalta per oltre dieci minuti. Osservando il pubblico il signor Arturo vide che quasi tutti i visi avevano riacquistato sembianze umane. Permanevano orecchie asinine, colli taurini e nasi un po’ maialeschi, ma nel complesso la cittadinanza era tornata ad esibire un buon livello di umanità. Non vi fu nessun bis, ma il giorno seguente, un giovedì 24 marzo, il signor Arturo uscì a cena col vecchio compagno di scuola. Mangiarono assai bene e bevvero anche un po’ troppo.
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